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Che cosa si apprende da una esperienza di volontariato di cinque mesi in Lituania?

19/09/2016 | Storie
Che cosa si apprende da una esperienza di volontariato di cinque mesi in Lituania?

Che cosa si apprende da una esperienza di volontariato di cinque mesi in Lituania? - - Agenzia Nazionale Giovani

Il racconto di Francesco Loreto, dalla ricerca della sua opportunità alla realizzazione di una esperienza come Volontario Europeo, in cui ha vissuto da dentro il Paese della Pioggia e “scoperto” il pregio di essere se stessi.

Che cosa mai si potrebbe apprendere da un’esperienza di volontariato di cinque mesi in Lituania? La domanda è assolutamente legittima, soprattutto per chi ha voluto parteciparvi, e forse proprio costui dovrebbe fermarsi per più di un istante a guardare con occhio critico ciò che è ormai passato per poter condividere coi curiosi la risoluzione di questo noioso enigma, perchè infatti non c’è cosa più interessante che analizzare un’esperienza passata con una prospettiva diversa rispetto al momento in cui si è vissuta.
E allora incominciamo, ma non in maniera schematica e precisa, semplicemente ricordando.

Tutto ha avuto inizio in maniera strana e precipitosa: la consultazione su Internet di varie esperienze di ex volontari del progetto di EVS (European Voluntary Service) che hanno suscitato il mio interesse, il colloquio con quella che sarebbe stata la mia coordinatrice, la presentazione dei progetti che potevano interessarmi, i biglietti, la valigia, l’aereo, l’addio all’Italia e, nel giro di una settimana, mi sono ritrovato nella sconosciuta città di Ukmerge nel centro della lontana Lituania a lavorare in un Campo Scout.
Il primo mese lo potrei definire il più difficile perchè, dopo un training con altri volontari in cui ci venne data una preparazione generale basata su metodologie di apprendimento non formale e precauzioni varie (che io salutai con sciocco scetticismo) e l’inizio con svariate attività pratiche e manuali da svolgere nel Campo Scout , incominciai ad affrontare moltissime situazioni nuove, come il fatto di dovermi esprimere unicamente in inglese con le mie coinquiline e negli orari di lavoro, di cercare di apprendere qualche parola o espressione in lituano per poter andare nei negozi o servirmi dei servizi pubblici, di trovarmi ad amministrare da solo i miei soldi per poter comprare cibo e quello di cui avevo bisogno senza fare sprechi.
Ovviamente sono sempre stato seguito, da una parte dalla mia mentore lituana con cui ero solito avere un meeting di supervisione alla settimana, e dall’altra dalla mia coordinatrice in Italia.
Eppure, malgrado tutte queste cose, alla fine del primo mese sentii un profondo senso di insoddisfazione, come se in realtà avessi sprecato il mio tempo, e quindi, da solo, un fine settimana, fermandomi a riflettere su quanto stava accadendo, ebbi l’Illuminazione!

Nel training di cui ho parlato, ci insegnarono che nel momento in cui capita qualcosa di nuovo nella nostra vita tendiamo a muoverci in tre zone di apprendimento, e queste sono la “comfort zone”, la “stretch zone” e la “panic zone”. Quando ci si muove dalla “comfort zone” (il luogo in cui ci si sente confortevoli e protetti) alla “stretch zone”(un luogo nuovo, in cui per ovvie ragioni si è in tensione) si ha una nuova esperienza e le possibili reazioni sono tre: la prima, la più tragica, è che non riuscendo a gestire la situazione ci si diriga verso la “panic zone” e quindi ci si faccia prendere dal panico e fallire; la seconda, quella più auspicabile, è che, con la coscienza dei propri limiti e il dominio della situazione non confortevole, si possa affrontare un’esperienza nuova con successo traendone ogni possibile beneficio; e la terza, in fine, è che semplicemente, non volendo affrontare una nuova esperienza che è causa di tensione e disagio, si preferisce regredire dalla “stretch” alla “comfort” zone, evitando quindi di esporsi a un eccessivo stato di tensione che potrebbe portare al panico, e allo stesso tempo non apprendendo nulla di nuovo. Ecco l’Illuminazione: il primo mese per me fu soltanto una regressione, perché, pur essendoci state tantissime nuove esperienze, cercai sempre di focalizzarmi sulla creazione di situazioni che potessero essere per me confortevoli, come il fatto di lavorare solo con le cose, spostando oggetti e costruendo strutture nel Campo Scout, cancellando completamente la possibilità di unirmi ad attività nel sociale, o delegando a altre persone iniziative e compiti che avrei dovuto fare io.
Compresi che la cosa più giusta da fare fosse quella di rivisitare il mio progetto, e di apportare alcune modifiche. Infatti decisi di concentrarmi molto di più su attività che non avevo mai avuto modo di approfondire e che “Scautu Slenis” (il campo scout) poteva offrirmi.

Quindi cominciai a focalizzarmi sulla partecipazione ad attività sociali e civiche organizzate dal campo scout in cui si aveva a che fare con la gente, e nelle quali si aveva l’opportunità di cercare di comprendere i problemi della gente con le opinioni e le idee della gente.Partecipai, per esempio, alla Festa della città di Ukmerge unendomi alla delegazione ucraina (questo perchè una delle mie coinquiline veniva dall’Ucraina), partecipai all’organizzazione di molti campi scout, in uno dei quali fui anche capo (ovviamente dopo un utilissimo training di preparazione) e di Programmi di Educazione rivolti ai bambini dai 6 ai 12 anni, specialmente quelli che venivano dai villaggi. E proprio grazie a queste attività ho avuto modo di sviluppare un’ idea complessiva di quella che è la Lituania (e questa è un’impressione ovviamente personale, non assoluta, elaborata dopo aver incontrato diverse persone del luogo): il “Paese della Pioggia” si presenta profondamente diviso, da una parte con una grandissima componente della popolazione concentrata nelle zone della selvaggia campagna e degli antichi villaggi rurali, con le proprie problematiche e contraddizioni, in cui sopravvivono lontane usanze e tradizioni, dall’altra con un altrettanto grande sezione della popolazione che può dirsi “occidentalizzata”(è da ricordare che la Lituania è nell’Unione Europea, ha adottato l’euro e fa parte della NATO), la quale vive nelle grandi città come Vilnius e Kaunas che si stanno modernizzando secondo quelli che sono i canoni della globalizzazione: immensi supermercati, grandi edifici sulla falsa riga degli imponenti grattacieli americani e strutture di questo genere.
Insomma, un Paese che, al seguito della traumatica indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1990, vive tra l’apertura al mondo della Terza Rivoluzione Industriale, e la “consapevolezza” del suo antico carattere contadino e paleoindustriale.

Alla luce di queste considerazioni, posso affermare che soltanto toccando con mano la realtà di una Nazione per me lontana nella mentalità e nella storia, e ascoltando le opinioni e le esperienze di persone per me nuove e “diverse”, ho avuto modo di abbattere tutti gli stereotipi e le idee precostituite che mi ero fatto della Lituania (e, in generale, dell’Europa dell’Est), e comprendere che questi sono solo falsi “segni” e strumenti che lasciano l’uomo sulla superficie delle cose, con la tragica conseguenza di sviluppare idee, opinioni e considerazioni superficiali. In questo processo di addio agli stereotipi è stato molto interessante e umanamente pedagogico il fatto di aver conosciuto e stretto amicizia con tantissimi volontari provenienti da mezza Europa (Romania, Ucraina, Spagna, Francia, Croazia, Grecia, Germania, Polonia…), per poi scoprire che la nozione di razza o popolo è meramente fittizia e vaga in confronto a quello che è il concetto di umanità.

Tante cose sono accadute, e tante persone ho conosciuto in questi cinque mesi, e il tempo, purtroppo, è passato così velocemente fino a giunger al giorno del mio rientro in Italia. Questo rientro non è la fine, ma uno dei tanti punti d’arrivo di un lungo e difficile viaggio. Se sia destinato alla discesa o alla salita non ne sono certo, e non posso determinarlo, ma quello che mi rende felice di quanto ho vissuto in questi cinque mesi è il fatto che io abbia appreso da tante differenti persone conosciute nell’arco del mio progetto, da tante differenti mentalità e culture, qualcosa che è ora parte integrante di me. Non posso definirlo un possesso materiale, né spirituale. Forse solo l’eredità di tanti amici che hanno avuto il grandissimo ed inestimabile pregio di essere se stessi.

Francesco Loreto

Associazione di invio Anffas Onlus Pordenone

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