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Quando uno scambio diventa strumento di inclusione ..

10/11/2016 | Erasmus+ Storie
Quando uno scambio diventa strumento di inclusione ..

Quando uno scambio diventa strumento di inclusione .. - - Agenzia Nazionale Giovani

Riportiamo la testimonianza di Marika Bertoni, dell’Associazione di promozione sociale Mavì, che ci racconta come si è sviluppato il progetto di scambio BEING A REFUGEE IS NOT A CHOICE.

 

5 Paesi. La fotografia come strumento ponte tra noi e l altro. La voglia di capire e di capirsi.

Trentino 21-27 Ottobre 2016

30 giovani provenienti da Italia, Turchia, Repubblica Ceca, Lettonia e Lituania tutti d’accordo sul fatto che: “No, essere rifugiato non è una scelta!” A nostra disposizione avevamo una settimana, una casetta calda nel bosco immerso nella magia dei colori dell’autunno, una serie di incontri con associazioni locali e testimonianze dirette, una visita ad un campo di prima accoglienza ed un obiettivo: una mostra fotografica dal titolo “Essere un rifugiato, è una scelta?” Già, perchè se noi partivamo dal presupposto che non lo è, e che siamo tutti ospiti in questo strano mondo, non potevamo certo escludere chi invece non la pensa come noi, cercando così di trovare insieme altre risposte, o anche solo creando un’occasione per riflettere. Siamo stati ospitati all’interno del campo di prima accoglienza di Marco di Rovereto (TN) dove abbiamo realizzato un work-shop di fotografia terapeutica. Tra gli strumenti cardine di questo progetto c’era infatti la fotografia e il video, come mediatori artistici La fotografia è un ponte, è un faro su ciò che spesso non è illuminato, è un abbraccio, è un modo per dire “Ciao fratello, ciao sorella, posso fartela una foto? Hai qualche storia che mi vuoi raccontare?”.In questo caso suonava un po così: “Ciao fratello, so che tu sei un rifugiato, giusto? Da cosa stai scappando (se stai scappando)? Oppure cerchi solo una vita migliore? Sai che potresti diventare clandestino? Ti va di raccontarmi qualcosa di te, così che io possa capire meglio? Oppure anche tu, se hai qualche domanda ce la puoi fare, o se hai qualche messaggio da dare”.
Semplificare la complessita’, questo era il nostro obiettivo. Ridurre le barriere tra “noi” e “loro”. Ridurre le barriere linguistiche e culturali. Ascoltare le loro voci, dargli forma, all’interno di questo workshop chiamato “Show your Voice”(mostra la tua voce). Abbiamo creato 4 aree di azione: l’area fotografica (storytelling), l’ area ritratto, l’area video, e l’area welcome (una sorta di punto d’accoglienza con tanto di musica e casse dove ballare tutti insieme, per rompere un pò il ghiaccio). Il nostro imperativo è stato “essere umanamente curiosi”, avevamo un occasione per fare domande, per capire, per farci capire, per dar voce a chi aveva voglia di dire qualcosa, partendo dal presupposto che a nessuno va tolta quella forma di dignità umana che sta nella comunicazione, nel trasmettere le proprie ragioni, i propri pensieri. Ciò che è emerso da questa esperienza, è la consapevolezza che siamo tutti esseri umani (e per quanto suoni banale, a noi organizzatori è valsa tutte le fatiche di gestione, sentirci dire: quest’esperienza mi ha cambiato dentro). A supporto di questa attività per un’intera settimana abbiamo alternato lavori di gruppo (confrontandoci sulla situazione migratoria nei vari Paesi partecipanti) e ice break game durante i quali stemperare tensioni e blocchi personali, con testimonianze esterne che hanno dato risposte e aperto dialoghi diretti. Siamo stati allietati dalla testimonianza e dalla musica dal vivo del musicista kurdo Serhat Akbal, che insieme al musicista italiano Nicola Segatta hanno suonato per noi melodie e canzoni dal lontano Kurdistan Turco e dall’Armenia, raccontandoci attraverso l’arte e la musica cosa significhi lasciare il proprio Paese in nome della libertà di poter vivere la propria arte. Abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare le testimonianze di Gaetano Turrini, presidente dell’Associazione Speranza-Hope for Children che opera in Siria, in Turchia, sulla rotta balcanica e in Grecia, che ci ha illustrato quali sono le rotte contemporanee migratorie e dato idee e possibilità di azione concreta sul campo per chi volesse agire per aiutare concretamente.. E’ poi intervenuto Erve Parko, grazie alla collaborazione del Centro Astalli di Trento, che ha portato la sua testimonianza di rifugiato, scappato dalla Nigeria perchè accusato di omosessualità. Tra le attività interne, abbiamo alternato video di documentazione e giochi di ruolo (come “Fuga dalla Siria) che ci sono serviti per entrare empaticamente in contatto con una realtà che sembra sempre altra, ma non lo è, a partire dalla consapevolezza che le migrazioni esistono da sempre, e le ragioni che spingono la gente a chiedere protezione non sono poi così speciali, o lontane da possibili ragioni che potrebbero riguardare tutti. L’associazione locale Danzare la Pace ha partecipato con una divertentissima serata di danze dal mondo.
Tutto questo è avvenuto nella cornice quasi fiabesca della Valle di Terragnolo, tra le mura del Masetto di Giulia e Gianni che ci hanno ospitati e sfamati con piatti tipici trentini. Tra le persone senza le quali tutto questo non sarebbe stato possibile non possiamo non nominare Adama Coulibaly e Efosa Ogbonmwan, due richiedenti protezione internazionale, che per una settimana hanno collaborato come volontari in cucina, condividendo nel tempo libero le loro storie. Il progetto ha avuto il sostegno e il supporto del Cinformi (servizio di prima accoglienza della provincia di Trento) le associazioni Arcobaleno e Punto d’Approdo. Grazie poi a Deborah Bertoni, per l’apporto umano e professionale.

La fotografia senza barriere, il viaggio come forma di condivisione ed esperienza epidermica, il fare del proprio meglio per essere ciò in cui crediamo. Nessuno di noi voleva trovare la verità assoluta, ma l umanità, quella sì.

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